Chiesa della Madonna

La chiesa della Madonna, formalmente intitolata ai santi Maria, Giulia e Francesco, si erge sulla via omonima, nel cuore di Livorno, a pochi metri dalla chiesa dei Greci Uniti e dai resti della chiesa armena.
Tenuta dai frati minori francescani, la chiesa ospita al suo interno gli altari di alcune nazioni straniere, costituendo una delle prime importanti testimonianze del passato cosmopolita della città.

I lavori di costruzione iniziarono nel 1607, nei pressi dello scomparso oratorio dei Santi Cosimo e Damiano (adibito ad ufficio postale sul finire del XVIII secolo). Il progetto, redatto da Alessandro Pieroni, fu portato a termine in breve tempo col titolo di Santa Maria, San Francesco e Santi Cosimo e Damiano (1611). Tuttavia, nel 1638 la chiesa fu consacrata solo all’Immacolata Concezione di Maria, a seguito di un ulteriore ampliamento. Il 7 aprile 1642 Giovanni Stefano Boccalandro, mercante di Savona e Gonfaloniere della città dal 1634, inoltrava una supplica al granduca per ottenere dagli operai della Madonna del Carmine il rimborso delle spese sostenute nel 1621-22 “per l’ampliamento della chiesa dalla parte del coro, con l’altare e il pulpito”. Nel 1645 fu costruito il campanile, alto 29 metri.
Nel tempo la chiesa divenne il punto di riferimento delle numerose comunità straniere presenti a Livorno, che dotarono la chiesa di altari nazionali e che ne fecero inizialmente il loro luogo di sepoltura.
La chiesa fu restaurata dapprima nel 1860 ed in seguito nel 1902, quando fu dotata di illuminazione elettrica. Un ulteriore restauro si ebbe a seguito dei danni riportati durante la seconda guerra mondiale. Nell’occasione, la facciata, originariamente ad intonaco in cui risaltava il portale, fu ricoperta da lastre di marmo. Un ultimo restauro si è concluso il 20 aprile 2013.

La chiesa della Madonna presenta una facciata molto semplice, restaurata nel dopoguerra e interamente rivestita in marmo; alla sommità, in asse col portale d’ingresso, si trova un finestrone affiancato da due aperture minori dal sinuoso disegno.
L’interno, a pianta rettangolare, è costituito da una sola navata, lungo la quale si aprono gli altari delle nazioni straniere. I sei altari laterali, della prima metà del Seicento, si richiamano ad un medesimo modello avente varianti nei dettagli. Il più antico è probabilmente il primo a sinistra, entrando nella chiesa, posto sotto il patronato degli Inghirami.

L’altare della Nazione francese risale al 1613 ed è incastonato tra due colonne marmoree che inquadrano il dipinto di San Luigi Re e che sorreggono un frontone semicircolare. Una particolare cura si rileva nel pilastrino “a copretto” con festone, una tipologia di colonnino che incontrerà particolare fortuna, ritrovandosi in altre chiese (San Giovanni, altare maggiore settecentesco della cattedrale e nel Santuario di Montenero). Il dipinto al centro, opera di Matteo Rosselli, fu donato dal granduca Cosimo II nel 1615; alcuni avanzano l’ipotesi che l’effigie del re altro non sia che la fisionomia idealizzata dello stesso Cosimo.
D’impostazione simile è l’altare della Nazione corsa, allora facente parte dei domini genovesi; è impreziosito da un dipintoseicentesco raffigurante San Giovanni Evangelista.
D’origine seicentesca è pure l’altare dei portoghesi, che però in principio ospitava la statua lignea di Santa Maria, un tempo conservata nell’oratorio dei Santi Cosimo e Damiano e dal 1728 collocata presso l’altare maggiore della chiesa della Madonna; pertanto, nell’altare portoghese fu collocata la statua di Sant’Antonio di Padova, fino ad allora posta nella controfacciata della chiesa.
L’altare di Sant’Andrea era invece quello della Nazione olandese-alemanna, inizialmente composta soprattutto da membri cattolici. Accanto all’altare si erge un raffinato confessionale settecentesco con lo stemma dei Paesi Bassi.

A lato della chiesa si trova il chiostro caratterizzato da tre porticati sovrapposti, anch’esso opera di Alessandro Pieroni ed in origine interamente affrescato; gli affreschi andarono perduti durante le devastazioni dell’ultima guerra.

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