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associazione culturale, beni culturali, Comune di Livorno, Leghorn, Livorno, Restoration, Sculpture
Questa associazione prende atto che l’Amministrazione Comunale, annunciando la volontà di restaurare il monumento del Villano, desidera coinvolgere la cittadinanza in un percorso partecipativo per valutare l’eventuale trasferimento della statua in altra ubicazione, considerando, tra le possibili alternative all’odierna collocazione, piazza del Municipio e piazza Cavallotti.
Se da un lato non possiamo far altro che accogliere con favore il proposito di recuperare il monumento, dall’altro riteniamo doveroso esprimere le nostre perplessità sia sulla sua eventuale ricollocazione, sia sull’opportunità di coinvolgere la cittadinanza tramite un “quesito on line”.
Come noto, secondo la tradizione, l’originaria statua del Villano fu eretta dai fiorentini sopra una pubblica fonte per rendere omaggio al valore e alla fedeltà dimostrata dai difensori livornesi nel 1496, in occasione dell’assedio delle truppe di Massimiliano I d’Asburgo.
Sono tuttavia doverose alcune considerazioni. In primo luogo, il ruolo dei livornesi nel successo militare dei fiorentini è stato notevolmente enfatizzato dalla letteratura risorgimentale in chiave patriottica e antiaustriaca, in una sorta di parallelo tra i fatti del 1496 e l’invasione austriaca del 1849. In realtà, la Livorno del 1496 non era altro che un modesto nucleo fortificato collocato ai margini della storia, margini ai quali resterà almeno fino all’ultimo scorcio del Cinquecento, quando il granduca Ferdinando I darà un fondamentale impulso per la realizzazione di quella che alcuni ritengono la principale città italiana progettata e costruita a cavallo dei secoli XVI e XVII.
All’origine del successo di Ferdinando I risiede essenzialmente la capacità di attrarre e insediare una popolazione attiva, dedita soprattutto alla mercanzia; grazie ai traffici mercantili e al grande volano economico rappresentato dalla costruzione del nuovo insediamento, Livorno divenne l’esempio più rilevante, in Italia, di crescita demografica di una città non capitale.
In questo contesto, fondamentale fu l’emanazione di una serie di inviti destinati a richiamare a Livorno mercanti di “qualsivoglia nazione”; questi privilegi, divenuti noti col nome di “Livornine”, costituiscono un documento di notevole importanza per la storia della città e, più in generale, per quella della “tolleranza” religiosa in Europa. Le “Livornine” garantirono per secoli l’insediamento di numerose comunità nazionali, dando impulso a una città cosmopolita, in grado di stabilire importanti reti mercantili locali e internazionali: Livorno divenne così tra i principali porti del bacino del Mediterraneo, avamposto di compagnie di navigazione e sede di numerosi consolati, mentre il suo nome fu tradotto in diverse lingue, secondo una prerogativa riservata solo alle grandi metropoli e alle capitali di stato.
Nel corso del Novecento, con il tramonto della Livorno delle Nazioni, la memoria e la consapevolezza di ciò che la città ha rappresentato per almeno tre secoli si sono lentamente sgretolate, non riuscendo ad arginare l’insorgere di una profonda crisi identitaria e, in generale, di una perdita di credibilità della città. Complice una linea culturale molto spesso accondiscendente, da allora in molti hanno guardato con compiacimento all’immagine stereotipata di una città ribelle e popolata da ex galeotti, mentre le “Livornine”, innegabile motore generatore dello sviluppo sociale, economico e culturale della città dalla fine del Cinquecento alla seconda metà dell’Ottocento, sono state relegate esclusivamente a materia di studio per gli storici: non un monumento, non un evento in grado di estendersi oltre l’ambito di pochi convegni; ad oggi, non esiste neanche una copia delle “Livornine” in mostra negli spazi espositivi della città.
Lo sberleffo, l’ironia dissacrante e l’indole ribelle: sembrano questi i soli atteggiamenti in grado di condizionare diversi ambiti della vita cittadina, compreso ogni tentativo di rapportare Livorno alla propria storia. Ercole Labrone, l’assedio del 1496 e, per certi versi, la drammatica occupazione austriaca del 1849 sono stati elevati ai soli e indiscussi simboli nei quali ricercare le radici dell’identità livornese; una visione limitata, non esaustiva, che trascura completamente la principale peculiarità della storia cittadina: il cosmopolitismo.
Per questi motivi riteniamo che il trasferimento del monumento del Villano nella piazza civica o in quella del mercato non costituisca un vero e proprio passo teso alla riscoperta della storia di Livorno e della sua identità, ma vada invece ad alimentare la percezione di un senso di appartenenza tutto sbilanciato verso l’indole più irriverente e ribelle della città. Con queste premesse, anche l’avvio di un percorso partecipativo, che consenta ai livornesi di esprimersi sull’eventuale trasferimento della statua, a nostro giudizio si pone a corollario di un’operazione culturalmente sbagliata; un percorso basato sul discutibile presupposto che la cittadinanza, dopo decenni in cui sono stati alimentati i consueti luoghi comuni, sia oggi in possesso di validi strumenti per riconoscere e sentire vicini gli elementi essenziali e più importanti della propria storia.
Se le attenzioni di questa Amministrazione vogliono concentrarsi sulla riscoperta di una sana identità cittadina, allora il punto di partenza non possono essere altro che le “Livornine”, a cominciare dai beni culturali che ne sono derivati e che, malgrado le mutilazioni subite e compiute nel corso del Novecento, caratterizzano ancora il panorama cittadino, distinguendo nettamente Livorno da qualsiasi altra città della Toscana. In proposito, ci sono numerose testimonianze che necessitano drammaticamente di attenzione, sia a livello materiale, sia a livello di conoscenza pubblica: ci riferiamo soprattutto a chiese, cimiteri monumentali, palazzi, ville, opere di pubblica utilità e di beneficenza, che attendono da tempo un’adeguata azione di riscoperta, valorizzazione e promozione.
Confidiamo pertanto che questa Amministrazione possa arginare la deriva della città ed essere artefice di una vera e propria rivoluzione culturale in grado di riaffermare finalmente le specificità che hanno determinato lo sviluppo e il successo di Livorno nei secoli passati.